L’operatore è decisivo per le black list.

L’obbligo di comunicazione black list interessa le sole operazioni poste in essere con soggetti definibili “operatori economici” che siano stabiliti in un paese a regime fiscale privilegiato. La mancanza di uno di questi requisiti pone una transazione fuori dal campo di applicazione dell’adempimento.

In vista della scadenza del 2 novembre (salvo integrazione della dichiarazione entro il 31 gennaio 2011, si veda in fondo alla pagina), è allora importante avere chiaro quando i suddetti presupposti devono ritenersi integrati. In merito alla individuazione dei paesi black list, la circolare 53/E del 21 ottobre è tranchant: sono tali tutti i territori nominati nel Dm 4 maggio 1999 o nel Dm 21 novembre 2001, senza che possano considerarsi operative le limitazioni recate da quest’ultimo provvedimento agli articoli 2 e 3. L’ampia interpretazione del concetto di black list comporta, allora, che sia sufficiente la menzione di un paese in una sola delle due liste perché i rapporti intrattenuti con un operatore economico ivi residente debbano essere inclusi negli elenchi.

Per inciso, si rammenta che, con effetti retrodatati al 1° luglio 2010, Cipro, Malta e Corea del Sud sono fuori dalle black list. Nella visione delle Entrate, lo status “black list” di un soggetto esercita altresì una “forza di attrazione” nei confronti del rappresentante fiscale o della stabile organizzazione di questi. Così, le operazioni poste in essere con il rappresentante o la stabile di un operatore economico black list in un paese non paradisiaco devono fare oggetto di comunicazione. E da tale impostazione consegue la necessità di ricondurre nell’obbligo anche le operazioni svolte interamente in Italia. Ma questa “forza di attrazione” dovrebbe logicamente operare anche al contrario, da cui l’idea dell’irrilevanza dei rapporti intrattenuti con il rappresentante o la stabile in un territorio black list di un soggetto non paradisiaco.

Per altro verso, poiché la normativa non distingue fra soggetti stabiliti o non stabiliti, sono tenuti alla presentazione anche il rappresentante fiscale o la stabile in Italia di operatori non residenti che realizzano operazioni con controparti black list. A giudizio di Assonime (circolare n. 35), comunque, per carenza di soggettività passiva Iva in Italia, l’obbligo di comunicazione dovrebbe essere escluso per le stabili organizzazioni all’estero di soggetti italiani. Inoltre, considerato che la succursale non è indipendente rispetto alla casa madre, ma formano un tutt’uno, si ritiene che non vadano comunicate neppure le operazioni poste in essere da una stabile organizzazione in Italia di un soggetto black list con la propria casa madre.

Quanto all’ulteriore aspetto dello status di operatore economico della controparte, l’amministrazione, con rinvio alla direttiva 2006/112/Ce, considera tale chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica. Il che porta a una estensione estrema di tale concetto, che finisce per includere anche soggetti che potrebbero non essere considerati operatori economici nel proprio paese. Il problema è ipotizzabile con riguardo agli enti non commerciali, da cui l’opportunità di ricomprendere sempre detti rapporti negli elenchi.

Ad ogni modo, per uscire dall’impasse, la circolare 53/E ha ammesso che lo status di operatore economico possa essere provato – anche in mancanza di coordinate fiscali riconducibili a un numero di identificazione rilasciato dal paese di insediamento – per mezzo di una dichiarazione dell’operatore black list attestante lo svolgimento di un’attività d’impresa, arte o professione. Questa posizione, con particolare riferimento agli operatori extracomunitari, sembrerebbe conferire carattere facoltativo ai dati “codice Iva” e “codice fiscale” richiesti nel quadro “A” del modello – la cui omessa compilazione, peraltro, non configura un errore bloccante per l’invio – seppure l’indicazione di un qualche codice identificativo sia esplicitamente richiesto dal Dm 30 marzo 2010.

Fonte: ilsole24ore.it